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Sadhana - Filosofia

07/02/2023

Śavāsana o l’arte del rilassamento

a cura di Maria Antonietta Cugusi

 

 

Dopo aver terminato l’esecuzione degli asana, sdraiatevi in śavāsana per almeno dieci o quindici minuti, e la fatica scomparirà” (BKS BKS Iyengar).

La pratica degli āsana dà e richiede energia il cui prosciugamento deve essere neutralizzato o comunque contrastato. Il rilassamento permette il recupero attraverso precisi passaggi ed infatti śavāsana, la posizione del cadavere (dal sanscrito śavā= cadavere e āsana = postura), dice BKS Iyengar, non consiste semplicemente nello sdraiarsi sulla schiena con lo sguardo vuoto o nel lasciarsi cadere pesantemente su un materasso di gomma piuma finendo, magari, per russare, ma rappresenta l’arte yogica del rilassamento, la postura che emula la rinascita della vita da una morte apparente. Śavāsana costituisce inoltre un metodo molto scrupoloso di disciplinare sia il corpo che la mente. Infatti, è facile rilassarsi per pochi minuti ma farlo senza movimenti fisici o oscillazioni dell’intelletto richiede un lungo addestramento e, inizialmente, stare a lungo in śavāsana, non soltanto è molto scomodo per il cervello ma fa sentire il corpo come un pezzo di legno secco. Si può avvertire, inoltre, una sensazione di prurito negli arti che via via aumenta. Per questo, esso è di gran lunga la più complessa delle posizioni yogiche ma anche la più gratificante e la più rinfrescante.

Imparare śavāsana è complesso perché si tratta di calmare il corpo, il respiro e la mente facendoli convergere nel vero Sé realizzando, in tal modo, lo stato di samahita chitta cioè dell’equanimità della mente, dell’intelletto, dell’ego nella coscienza. Infatti all’inizio le costole non sono rilassate, il respiro è ruvido ed irregolare e la mente e l’intelletto fluttuano. Il corpo, il respiro, la mente e l’intelletto non sono uniti mentre questa unità, sotto le redini del Sé, deve essere mantenuta in un perfetto śavāsana. A questo risultato il praticante si avvicina attraverso lo studio dei vari aspetti del suo essere: il corpo, i sensi, la mente, l’intelletto e il Sé e non soltanto mediante una conoscenza teorica bensì anche mediante la pratica corretta e regolare.

 

Il posizionamento del corpo

Śavāsana incomincia sistemando il corpo con cura sul pavimento. Per questo deve essere scelto un luogo pulito, libero da insetti, rumori o cattivi odori e con una superficie uniforme sul quale adagiare una coperta o un tappeto così che il corpo possa distendervisi in tutta la sua lunghezza. Queste precauzioni sono necessarie perché, ad esempio, un pavimento freddo o non perfettamente pulito può ostacolare la profondità del rilassamento. Anche la luce esterna non dovrebbe essere così intensa da disturbare gli occhi e il cervello. Andrebbero anche tolti abiti stretti, cinture, occhiali, lenti a contatto o protesi uditive.

Dapprima sedere sulla coperta o sul tappetino con le ginocchia piegate e i piedi uniti a terra e poi portare la schiena a terra con le gambe ancora piegate, cosicché una linea dritta possa essere disegnata dal punto in cui si uniscono gli alluci, i talloni, e le ginocchia attraverso l’ano, l’ombelico, lo sterno, la gola, il mento e il ponte nasale fino al centro della fronte.

 

 

Nel distendere la schiena a terra, la colonna va resa convessa e il busto adagiato, vertebra dopo vertebra, in modo che la spina dorsale poggi uniformemente sul pavimento senza inclinarsi su un lato o sull’altro.

A questo punto, occorre fare attenzione che entrambe le natiche gravino in modo uniforme sul pavimento e, se si avverte che una natica è più ampia, sollevarle entrambe per eliminare la difformità: con le mani su ciascuna delle anche, allontanare le natiche dalla zona lombare e allargarle lateralmente in modo che, una volta poste nuovamente sul pavimento, rimangano distese uniformemente ai lati del coccige e dell’ano rispettando la naturale curvatura lombare.

Col dorso a contatto col pavimento, muovere la pelle dal centro della colonna vertebrale verso i lati mantenendo la colonna comunque centrata, quindi portare le mani alla nuca e, con un aggiustamento importante perché consentirà il rilassamento del cervello frontale, allungare la pelle del cuoio capelluto in direzione della sommità del capo, rispettando la naturale curvatura cervicale e stando attenti a non inserire il mento nella sommità dello sterno poiché ciò crea tensione. Per ovviare a tale circostanza, il principiante deve imparare ad alzare il mento dolcemente in modo da formare un angolo retto con il pavimento o il soffitto ed equilibrare il movimento in ascesa del mento con il movimento in discesa del ponte nasale. A quel punto, un senso di assenza di tensione può essere sentito nella gola (visuddhi cakra) e di leggerezza sulla fronte (lalata cakra). Quando il ponte nasale e il mento sono mantenuti in equilibrio, si sentono la testa e il cervello leggeri e la gola rilassata.

La testa deve rimanere dritta e parallela al soffitto; se si inclina verso l’alto, la mente dimora nel futuro mentre se si inclina verso il basso, la mente rimugina sul passato; se si inclina di lato, si tende ad addormentarsi e a perdere consapevolezza. Pertanto, la testa dritta sul pavimento aiuta la mente a rimanere nel presente e la correzione di ogni inclinazione aiuta a mantenere l’equilibrio (samatva) tra i due emisferi del cervello e il corpo “che è una delle porte di accesso alla divinità” (BKS Iyengar, 1984, p.249).

 

 

Quindi, piegare le braccia e toccare le spalle con le dita.

Da questa posizione, estendere gradualmente sul pavimento la parte posteriore delle braccia in direzione dei gomiti i quali rimangono poggiati e allungati uniformemente ai lati del busto. Successivamente, abbassare gli avambracci e le mani sul pavimento con le palme rivolte verso il soffitto, mantenendo i polsi al suolo lungo il loro piano mediano. Le braccia e le mani dovrebbero formare un angolo di non più di quindici gradi rispetto ai lati del corpo. Le dita vanno mantenute passive e rilassate e le nocche del dito medio a contatto con il pavimento. Tuttavia se, pur essendo così sistemate le braccia, si avverte rigidità nei muscoli del tronco e della schiena, allora portare le braccia al livello delle spalle. Anche la base delle scapole, così come già le natiche e le anche, dovrebbe essere posata sul pavimento ugualmente su entrambi i lati.

Poi, stendere gradualmente in avanti una gamba dopo l’altra in modo che entrambe le gambe siano simmetricamente distese e separate quanto la larghezza del tappetino, lungo l’asse longitudinale del corpo e sul piano mediano, con i piedi ruotati spontaneamente verso l’esterno. Per favorire il rilassamento delle gambe, può essere utile posizionare dei pesi sulla parte alta delle cosce. Allungare l’area tra le caviglie e i talloni e lasciare i lati esterno ed interno dei talloni, a destra e sinistra, sopra il suolo. In questo modo, si favorisce il rilassamento dei piedi.

Dopo aver aggiustato il resto del corpo dalla parte posteriore, si può passare all’aggiustamento della testa anche dalla parte anteriore. Come si è detto, il mento dovrebbe essere perpendicolare al pavimento o al soffitto mentre il ponte nasale è orientato parallelamente al pavimento. Gli occhi dovrebbero essere chiusi e equidistanti dal ponte nasale allontanandosi dal centro della fronte insieme alle sopracciglia in quanto la convergenza dello sguardo e la fronte corrugata sono segno di tensione mentale. Un appesantimento su ogni angolo, nel mezzo o ovunque sulle sopracciglia, può causare tensione nel cervello e questo appesantimento può derivare anche dalla rotazione del mento su un lato.

BKS Iyengar suggerisce, in particolare, di misurare mentalmente la distanza dall’angolo dell’occhio sinistro e dall’angolo dell’occhio destro al pavimento: se uno è più in alto dell’altro, non c’è samasthiti, cioè uguaglianza dell’intelligenza, in quanto questa rimane attiva nel lato in cui l’angolo è più alto per cui, nel lasciar cadere la pelle, l’intelligenza si regolarizzerà da sé.

Infine, osservare che l’intero corpo sia sistemato sul pavimento in modo che le due metà del corpo poggino uniformemente sui due lati della spina dorsale. Ogni poro della pelle va considerato come un “occhio cosciente” che aiuta dall’interno ad aggiustare e equilibrare poiché è difficile per i normali occhi esterni osservare e correggere la posizione.

L’attenzione ai dettagli e la precisione nel posizionamento del corpo, conducono con certezza a padroneggiare l’arte del rilassamento il quale può essere ostacolato da tensioni inconsapevoli nelle palme e nelle dita delle mani, nelle piante o nelle dita dei piedi. Occorre, pertanto, rilevare queste tensioni quando e dove si presentano e lasciar andare queste parti del corpo nella loro consigliata posizione.

Al fine di rimuovere eventuali tensioni, si deve prima imparare a rilassare la parte posteriore del corpo dal sacro al collo, poi le braccia e le gambe e infine la parte anteriore dal pube alla gola, dove si verifica l’agitazione delle emozioni, e dal collo alla sommità della testa la quale, in uno śavāsana senza difetti, si sente come “ristretta”.

Occorre tener presente che, molto spesso, il corpo si inclina sul suo lato più forte e questa inclinazione viene sperimentata come una sorta di attrazione magnetica della terra nei confronti di tale lato. Se si verifica l’inclinazione, nel lato inclinato è presente un prosciugamento di energia mentre quando la metà destra e la metà sinistra sono bilanciate, l’energia è mantenuta all’interno del corpo dando luogo ad un rilassamento più veloce.

Quando il praticante acquisisce consapevolezza del lato dominante del proprio corpo e della relativa maggiore attrazione magnetica, ha la possibilità di aggiustare il lato più debole fin dall’inizio, posizionandolo deliberatamente sul pavimento in maniera più intelligente. In questo modo, si ovvia all’inclinazione.

In śavāsana, lo sterno, dalla base alla sommità, deve essere mantenuto attivo, a partire dallo spazio al di sotto di esso, sollevandolo dal pavimento, in modo che entrambi i bordi siano sullo stesso piano, senza disturbare la parte posteriore della colonna. Così facendo, il praticante eviterà di addormentarsi e rimarrà vigile e attento senza, pur tuttavia, attivare l’intelletto ma avvertendo quasi la sensazione di affondare nella Madre Terra. BKS Iyengar ha ideato a proposito una serie di supporti per sostenere le scapole o direttamente la colonna dorsale e agevolando così la percezione dello spazio sotto lo sterno.

 

 

La disciplina nel posizionamento del corpo costituisce il presupposto per i passaggi successivi, consistenti nel controllo dei sensi, nella giusta impostazione del circuito energetico e nell’attenzione al respiro.

Al riguardo, BKS Iyengar sottolinea che è necessario imparare a portare il silenzio nel corpo fisico prima che nella mente: il corpo fisico grossolano (annamayakosha) dovrebbe essere messo sotto controllo prima di acquietare i più sottili corpi mentale (manomayakosha) e intellettuale (vijñanamayakosha). Ciò, in quanto, la completa serenità fisica è il primo requisito, il primo segno dell’ottenimento della tranquillità spirituale e non c’è emancipazione della mente se manca la sensazione della serenità in tutto il corpo. Il silenzio del corpo porterà dunque al silenzio della mente.

In proposito, occorre sempre tener presente che, per BKS Iyengar, il corpo non è un mero strumento e troviamo scritto che: “Vivere totalmente con il corpo, è vivere totalmente con il Sé. Spesso noi non viviamo totalmente con il corpo, la nostra sensibilità nei confronti dell’esistenza non penetra nemmeno la profondità della pelle. Quando si sente la presenza totale e l’esistenza totale, si è con il Sé.” (BKS Iyengar, 2001, p.293).

 

Il controllo dei sensi

Il controllo dei sensi consiste nel calmare il moto verso l’esterno e nel contrastare la spontanea direzione verso gli oggetti del desiderio. Śavāsana è un movimento psicosomatico discendente in quanto è una discesa del corpo e della mente verso l’interno più profondo, alla ricerca della sorgente dell’energia. Śavāsana non è uno stato di immobilità rigida: non c’è dubbio che esso mantiene fuori il mondo esterno ma bisogna sapere che, svolto in modo appropriato, non conduce ad una mera immobilità ma ad uno stato di quiete interiore, aiutando l’ego ad arrendersi attraverso una consapevolezza ricettiva. Al fine di raggiungere questo stato, secondo BKS Iyengar, le cellule del cervello devono “discendere” passivamente ed esse non possono sperimentare questo movimento discendente, se i sensi non sono sotto controllo e non hanno imparato a ritirarsi in se stessi.

Al riguardo, occorre innanzitutto ricordare come la maggior parte dei nostri organi di percezione siano posizionati sul viso e come pertanto tutto lo sforzo per controllare i sensi avviene sul viso, dalla gola in su, dove le impressioni raccolte dai sensi sono sperimentate.

 

 

Il lavoro del principiante inizierà con l’osservazione degli organi di senso accorgendosi, ad esempio, che le palpebre tremolano e i bulbi oculari si muovono verso l’alto. Questi sono sicuri indizi di tensione degli occhi e producono onde che finiscono per disturbare il cervello. Lo sguardo dovrebbe essere diretto all’interno, in una introspezione che prepara per il pratyāhāra, il quinto degli otto gradini dello yoga, nel quale i sensi sono ritirati all’interno e inizia il viaggio verso la sorgente dell’essere: l’ātman.

Gli occhi sono le finestre del cervello, le palpebre fungono da otturatori ed abbassandole tutto ciò che esterno è lasciato fuori e si diviene consapevoli di ciò che c’è all’interno. Portando delicatamente le palpebre superiori verso l’angolo interno degli occhi, questi divengono passivi, la pelle appena al di sopra si rilassa e si crea spazio tra le sopracciglia.

Se la parte superiore delle clavicole deve essere rivolta verso l’alto, gli occhi non dovrebbero muoversi nella stessa direzione o, comunque, verso l’esterno. Al contrario, BKS Iyengar ci esorta a penetrare metaforicamente con gli occhi i polmoni guardando all’interno, non con un approccio meccanico ma con sincera curiosità, con la stessa curiosità con la quale guardiamo qualcosa che non abbiamo mai visto prima, e con straordinaria vigilanza.

Le orecchie interne dovrebbero rimanere quiete e recettive e poiché vi è connessione tra di esse e la mente, in presenza di onde di pensiero, esse perdono la loro ricettività. Attraverso un prolungato allenamento, il processo può essere invertito e le orecchie possono inviare il messaggio di interrompere le fluttuazioni inducendo la mente ad acquietarsi.

Le orecchie dovrebbero essere mantenute rilassate e anche le pulsazioni nervose nella zona delle tempie dovrebbero cessare. Il padiglione auricolare, il nervo uditivo e la pelle delle tempie devono essere indirizzati verso il centro delle emozioni che, per BKS Iyengar, è la base dello sterno. Vi è connessione anche tra occhi e orecchie: se i primi sono in tensione, le seconde si bloccano e se gli occhi sono rilassati lo sono anche le orecchie. Il movimento congiunto degli occhi e delle orecchie è percepito come un silenzioso e calmo moto verso il basso, infinitamente rilassante.

La comparsa di saliva all’interno della bocca e il costante bisogno di deglutirla indicano che c’è tensione nella lingua la cui radice non va gonfiata ma mantenuta passiva e appoggiata sul palato inferiore. Ogni movimento o pressione della lingua sui denti o sul palato superiore segnala una mente fluttuante oppure può essere sperimentata durezza nelle orecchie o pressione intorno alle tempie. I due lati del palato rispetto all’ugola dovrebbero passivamente unirsi. A quel punto, si verifica un restringimento e, soprattutto nella zona dell’ugola e della lingua, la bocca diventa asciutta e il rilassamento può essere sperimentato.

Se la lingua si muove verso un lato, la testa fa altrettanto rendendo difficile il rilassamento. Gli angoli delle labbra si rilassano allungandoli lateralmente.

La pelle del viso è un sensibile indicatore di rilassamento. Essa dovrebbe essere fatta scendere verso il centro delle emozioni. Nello stesso tempo, la pelle del viso dovrebbe essere sistemata come se fosse separata dalla carne che ne è al di sotto.

Ogni poro della pelle del torace dovrebbe comunicare al cervello, se è aperto o chiuso.

 

Il circuito energetico

L’allungamento della parte posteriore del cranio verso la sommità determina un movimento dell’energia verso l’alto il cui flusso deve essere poi indirizzato verso il basso percorrendo in discesa il ponte nasale che rimane parallelo sia al soffitto che al pavimento.

In śavāsana l’energia fluisce secondo un moto circolare dal retro della testa, attraverso il naso in direzione dei piedi e indietro verso la sommità della testa. In tal modo, il circuito dell’energia è ben disegnato e il flusso energetico è mantenuto all’interno del corpo evitando la dispersione e il conseguente esaurimento. Ciò conduce ad un recupero e ad un ristoro del corpo e della coscienza più veloci.

 

 

Nel suo percorso, il flusso energetico ha nella base della gola (viśuddhi chakra) la sede della purificazione. Perché questo avvenga, una volta che il flusso dell’energia è correttamente indirizzato, le pupille devono essere fatte passivamente discendere verso la base dello sterno, che, come si è visto, è il centro delle emozioni (manas cakra) e al di sopra del plesso solare (surya cakra). I bulbi oculari dovrebbero ritirarsi serenamente all’interno delle orbite, considerando che un bulbo oculare ritirato è un bulbo oculare rilassato mentre occhi che sporgono rivelano tensione. Il nervo ottico deve essere steso verso il centro delle emozioni così che nel singolo “occhio della coscienza” dell’anima, gli occhi fisici perdano la loro identità. Questo “occhio della coscienza” dell’anima si trova nel manas cakra.

La corrente non dovrebbe muoversi al di sopra del collo e nella testa altrimenti si diventa attivi e ci si perde nel mare dei pensieri in cui non si è consapevoli né dei movimenti della mente, né del silenzio; la corrente della mente fluisce senza guida. In una sorta di circolo vizioso, ogni movimento dei pensieri crea una sorta di durezza nel viso e vibrazioni che fanno espandere il cervello con un’attività e un carico che portano a fluttuazioni emozionali. In presenza di questa situazione, vanno fatte scendere le palpebre inferiori portando verso il basso le superiori. A quel punto, la corrente della mente, insieme all’energia del corpo, rimane diretta verso il basso e non si presenta alcuna vibrazione nell’intelletto. Questo stato, secondo BKS Iyengar, incarna il vero brahmacharya. Brahma significa il Sé, charya significa movimento. Muoversi verso il Brahma, dunque, è brahmacharya.

 

Il respiro

Il controllo del respiro è necessario e all’inizio un respiro ritmico aiuta a raggiungere un buon rilassamento. L’inspirazione (puraka) non dovrebbe essere profonda ed inoltre dovrebbe avere una durata normale. L’espirazione (rechaka) dovrebbe essere caratterizzata da un flusso dolce e regolare ed avere una durata maggiore dell’inspirazione. Ancora una volta, sia durante puraka che durante rechaka, le cellule del cervello devono scendere verso il centro delle emozioni. Questo movimento verso il basso è più difficile in puraka che in rechaka. Grazie alla sua lunga esperienza, BKS Iyengar insegna che, per circa tre quarti della durata dell’inspirazione, si può sperimentare la discesa delle cellule del cervello ma nell’ultimo quarto, le cellule del cervello cominciano autonomamente a muoversi leggermente verso l’alto. Pertanto, occorre essere preparati a questa evenienza, dapprima osservando e poi evitando questo movimento verso l’alto. In termini simbolici, puraka riflette il dominio dell’ego mentre rechaka favorisce l’arrendersi del proprio ego all’energia del cuore all’interno di noi, svuotando sia il cervello che l’ego.

Dopo un po' di tempo nell’espirazione dolce e regolare, si verifica quella che può essere descritta come “espirazione risonante”. Questa è una espirazione fine e sottile che può essere paragonata alle squisitamente pure e delicate note alte di uno strumento a corda nelle mani di un maestro in un suono che sembra riecheggiare delicatamente da un luogo sconosciuto. Questa “espirazione risonante” svuota il cervello completamente e si risolve in un ritiro dei nervi e dei sensi all’interno di sè stessi.

In un buon śavāsana, il corpo rifiuta una respirazione profonda. Tuttavia, quando si è mentalmente ed emozionalmente disturbati, quando si è deboli e malinconici, si ha bisogno del supporto di una respirazione profonda, ma pur sempre morbida e delicata. Infatti, se in śavāsana il respiro è profondo e brusco a volte ci si può sentire come congelati.

 

Uno śavāsana ben eseguito

L’obiettivo di śavāsana è mantenere il corpo a riposo e il respiro passivo laddove la mente e l’intelletto sono gradualmente sublimati. Mentre in presenza delle fluttuazioni interne ed esterne le energie mentali e intellettuali sono disperse, in śavāsana le agitazioni mentali ed emozionali sono acquietate e il praticante viene condotto ad uno stato di immersione della mente (manolaya) in cui questa, libera dalle fluttuazioni, si dissolve e si fonde con il Sé, come un fiume nel mare.

Partendo dalla definizione del Sé come pura coscienza, libera da pensieri, sentimenti, desideri e della mente come il veicolo della coscienza, BKS Iyengar mette in evidenza che quando il centro dell’intelletto è attivo, la mente rivela se stessa come intelligenza mentre quando il cervello è perfettamente quieto, e il centro dell’intelletto è fermo, la mente appare come il Sé nel centro delle emozioni. Questo è il luogo in cui ci si sente raccolti e perfettamente sospesi, vuoti e perfettamente soddisfatti, serenamente equilibrati, non liberi né legati. Śavāsana, dunque, nell’immobilità della pura coscienza, nella stabilità emozionale e nell’umiltà mentale, regala l’esperienza del superamento della dualità.

Per raggiungere tale stato, il praticante deve sviluppare la discriminazione che lo renderà capace di un miglior rilassamento e lo condurrà alla chiarezza. Quando la chiarezza è raggiunta, i dubbi svaniscono e ci si avvicina al sāmadhi.

Diversi sono i segnali di uno śavāsana ben eseguito. Poiché lo yoga non è un gioco intellettuale bensì la ricerca di una reale esperienza, alcune indicazioni possono aiutare il principiante a testare la profondità del suo rilassamento. In un buon śavāsana, in particolare, c’è una sensazione di restringimento della pelle e dei muscoli giacché śavāsana è, dopo tutto, un movimento di ritiro verso l’interno. Allo stesso tempo, c’è una sensazione di estensione degli arti e del corpo. Talvolta questa estensione viene sperimentata come una contrazione dei nervi. Una piacevole sensazione di pesantezza e di restringimento che viene provata in tutto il corpo e soprattutto nelle braccia appena al di sopra dei gomiti e nei polpacci al di sotto delle ginocchia. In queste quattro aree, si può sentire il battito del polso. L’equilibrio del corpo può essere testato attraverso l’osservazione dell’uniformità del polso in queste quattro aree. Le ossa e le articolazioni sono percepite asciutte e si ha anche la sensazione di essere sospesi su una sottile linea di consapevolezza. Si dice che śavāsana è completo se il respiro, gli occhi, i timpani e la radice della lingua sono tutti in uno stato di relax sebbene sotto controllo.

In ultima analisi, il miglior segnale di un buon śavāsana è la sensazione di pace mentale profonda e di pura beatitudine. Śavāsana è un vigile arrendersi dell’ego, la condizione in cui, nel dimenticarci di noi stessi, scopriamo noi stessi. Anche il senso del tempo è perso nell’autentico stato di śavāsana e l’esistenza diventa pura, senza macchia, fino a far intravedere sāmadhi.

 

Uscire da śavāsana

Śavāsana va praticato per dieci o quindici minuti per sperimentare l’assenza del tempo. Il più piccolo pensiero o movimento romperà l’incantesimo e si cade nuovamente nella dimensione temporale, con un inizio e una fine. Per questo, tornare alla normalità dopo uno śavāsana riuscito richiede un processo. Mentre si torna allo stato di veglia, si osserva silenziosamente come la coscienza va dalla passività all’attività, fino a che la normale attività si insinua nel cervello e nel corpo. Occorre aprire gli occhi dolcemente guardando ogni cosa dall’interno. Occorre ascoltare ciò che il corpo dice al cervello, sia che sia in uno stato di irrequietezza sia che sia in uno stato di riposo. Occorre osservare come il cervello reagisce. Occorre scoprire ciò che il cervello dice al corpo e il corpo al corpo.

Per ritornare allo stato conscio, non bisogna creare movimenti che portino la mente alla superficie ma lasciare che essa vada verso un’area senza profondità all’interno e rimanere in questo stato di pienezza osservando lo spazio tra un pensiero e l’altro. Mentre la mente respinge il pensiero, il praticante osserva i cambiamenti che si sono verificati al suo interno.

 

 

Dopo un buon śavāsana, i nervi si percepiscono ristretti e la parte posteriore del cervello sembra asciutta e pesante mentre la parte anteriore sembra vuota. Per questo, la testa non va alzata velocemente ma, dopo aver piegato le braccia sul busto e, una per volta, le gambe, e aver ruotato l’intero corpo su un lato, occorre aprire gentilmente gli occhi, che inizialmente non sono focalizzati, e rimanere in questa posizione per un minuto o due.

 

Precauzioni

Coloro che soffrono di ipertensione, di enfisema, di irrequietezza o sono cardiopatici, dovrebbero sdraiarsi con il torace sollevato e un cuscino sotto la testa. Le persone in tensione o agitate dovrebbero posizionare dei pesi sulla parte alta delle cosce (circa 20 kg) e sulle palme (circa 2 kg). Questo tipo di persone dovrebbero, inoltre, fare ṣanmukhī mudrā oppure avvolgere la testa con una striscia di stoffa abbastanza alta da coprire gli occhi e le tempie (iniziare dalle sopracciglia e avvolgere rimboccando l’estremità lateralmente, sopra la tempia oppure vicino al naso). La striscia di stoffa deve essere abbastanza stretta ma non eccessivamente e verrà spinta in fuori dai movimenti delle tempie e dalla tensione dei bulbi oculari indicando che il cervello è attivo. Viceversa, in presenza di un cervello passivo, non si sentirà il contatto con la stoffa perché la pelle delle tempie e i bulbi oculari sono rilassati.

Per coloro che hanno dolore al collo, a causa di spondilite cervicale o distorsione, è utile inserire un supporto, coperta o asciugamano arrotolato, tra la base del collo e il cranio.

Questo è śavāsana.

 

 

Referenze immagini

Le fotografie sono di Maria Antonietta Cugusi e di Emanuela Zanda con Chiara Stravato e Margarida Edlund (archivio AIYI).

 

Bibliografia

BKS Iyengar [1968] 2001. Śavāsana: the glimpses of the state between Jagratāvasthā and Turyāvasthā, in “Aṣṭadala Yogamālā”, 2, pp.288-300.

BKS Iyengar [1981] 1984. Śavāsana (Rilassamento), in “Teoria e Pratica del Prāṇāyāma”, Roma, Mediterranee, 1984, pp.288-313.

BKS Iyengar [1987]1992. L’arte del rilassamento, in “BKS Iyengar, la vita e l’opera”, Roma, Mediterranee, pp.95-100

BKS Iyengar [2019] 2021. Concludere con śavāsana, in “Ārogya Yoga”, Roma, Mediterranee, pp.241-247.

 


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